Le moderne unità produttive

L'agricoltura cremonese non subisce profondi cambiamenti dall'ottocento fino al secondo dopoguerra. La gravissima crisi agraria di fine ottocento aveva incoraggiato l'ulteriore estensione delle colture foraggere. Le scelte dei proprietari e dei fittabili si erano orientate verso produzioni più remunerative e meno colpite dalla flessione dei prezzi.

La conversione produttiva delle aziende, insieme all'incremento del patrimonio bovino, sottolineava il dinamismo di un'agricoltura che già faceva grande impiego di concimi e macchine. L'agricoltura era infatti il pilastro dell'economia non solo per numero di addetti e per il volume di investimenti, ma anche perché la maggior parte delle altre attività ruotava intorno ad essa o ne era in qualche modo condizionata. Soprattutto le attività lattiero-casearie e alimentari, che insieme a quelle seriche e alla lavorazione dell'argilla ricavata dai sedimenti del Po erano il nerbo del settore manifatturiero.

La vecchia cascina cremonese a corte chiusa divenne progressivamente inadeguata alle necessità produttive di un'agricoltura di tipo intensivo e specializzata, fortemente meccanizzata, non più orientata ad un'economia di sussistenza ma con finalità di commercializzazione sul mercato internazionale. Così come venne meno la funzione di organismo sociale organizzato che l'aveva contraddistinta per secoli.

Le attività fra tradizione e innovazione

L'alto grado di sviluppo e di professionalizzazione raggiunto fanno del cremonese una realtà produttiva tra le più avanzate In Italia e in Europa che conta, al 30 giugno 2013, 4.320 imprese attive. La costante preoccupazione di stare al passo con il progresso tecnico ha profondamente trasformato negli ultimi decenni l'organizzazione del settore dando vita ad un ininterrotto processo di riorganizzazione delle imprese che ha portato ad una continua crescita delle dimensioni delle stesse in termini di superficie dei terreni (la dimensione media è di 25 ettari), ma ancor più in termini di capitale. Negli anni più recenti è drasticamente calato il numero delle piccole - medie aziende (quelle con 3-5 capi e 6-10 capi sono più che dimezzate) e attualmente il 52,7% del bestiame è allevato in grandi aziende, con oltre cento capi. Il progresso tecnico ha inoltre favorito una progressiva specializzazione produttiva che si è tradotta nell'espansione degli allevamenti intensivi ed nella diffusione delle colture di grande superficie e delle produzioni orticole industriali. L'aumento della quantità e della qualità delle produzioni ha favorito lo sviluppo di un'industria alimentare forte e particolarmente attenta al mercato interno e internazionale.

Il sistema agroalimentare continua a rappresentare da un lato un elemento portante dell'economia cremonese e dall'altro una componente rilevante del sistema agro-alimentare lombardo. L'utilizzazione agricola dei terreni, che ha trovato la massima intensificazione con lo sviluppo della meccanizzazione, interessa circa l'80% del territorio. Il fulcro delle attività produttive è ancora oggi la cascina, anche se con dimensioni, struttura e connotazioni socio-economiche del tutto diverse dal passato. Il valore aggiunto prodotto dall'agricoltura in provincia di Cremona è stato di 449 milioni di euro, in crescita dell'11% rispetto al 2009, con un incidenza sul valore aggiunto totale de 4,9% ( quasi 5 volte la media regionale e più del doppio rispetto a quella nazionale).

La zootecnia è uno dei pilastri dell'economia cremonese e contribuisce per l'80% al valore complessivo dei prodotti del settore primario. Il numero dei capi bovini si mantiene costante attorno ai 300.000 capi, di cui circa la metà sono vacche da latte, mentre in lieve calo è il numero dei suini allevati (più di un milione nel 2010, 941.000 nel 2012). Cremona è universalmente conosciuta come la capitale del latte, con una produzione che ha raggiunto nel 2012 oltre un milione di tonnellate l'anno, contribuendo a un quarto della produzione lombarda e a oltre il 10% di quella italiana.


Ne deriva che gran parte della superficie è coltivata a foraggere e a mais che costituisce sotto forma di granella e trinciato la principale forma di alimentazione per il bestiame. Sono inoltre diffusi il frumento, l'orzo, e tra le colture industriali la soia, la barbabietola e il pomodoro. Lungo i fiumi è frequente la coltivazione del pioppo. La vocazione zootecnica è ben espressa da un consistente patrimonio di bestiame, in particolare bovini, di elevato valore genealogico e dalla conseguente produzione di latte che colloca il cremonese ai primi posti in Italia.


Recentemente sono sorte aziende finalizzate alla produzione di energia da fonti agricole. Settore quest'ultimo che può rappresentare un’occasione per l’azienda per trovare nuovi sbocchi per alcune colture e, principalmente, per i sottoprodotti e gli effluenti agro-zootecnici.
Mentre il recupero delle antiche corti, nella loro originaria struttura, è affidato agli agriturismo, risorsa importante per rinnovare le tradizioni agro-alimentari del territorio.

Il lavoro e l'automazione

I tempi sono cambiati, la ricerca e le innovazioni hanno fatto passi da gigante e tutto è automatizzato; il lavoro svolto da numerosi dipendenti salariati che vivevano in cascina con le loro famiglie oggi impiega pochi lavoranti che spesso abitano nei paesi vicini. La trasformazione industriale delle campagne ha radicalmente cambiato le modalità di lavoro ed ha creato nuovi rapporti sociali. Anche la conduzione delle aziende agricole è cambiata nel tempo. Il territorio cremonese è caratterizzato dalla presenza di famiglie coltivatrici: l'81% delle aziende ha infatti una manodopera di tipo familiare che garantisce in larga parte il lavoro aziendale. Il restante 19% delle aziende utilizza manodopera di tipo salariato.


“I volti, i gesti, gli sguardi dei “paisan” non esistono più, sostituiti spesso dai volti di genti venute da lontano”. Anche le aziende cremonesi infatti confermano la tendenza nazionale ad occupare regolarmente in agricoltura manodopera straniera.
Tuttavia, in questa drammatica fase congiunturale, con una disoccupazione giovanile mai così alta dal 1977, sembra che proprio il settore agricolo presenti una realtà in controtendenza, con la creazione per tutto il 2013, di nuovi posti di lavoro.

Nelle campagne ci sono molte opportunità, soprattutto per le nuove generazioni. Nell’ultimo anno in agricoltura sono stati proprio i giovani a contribuire in modo più significativo alla crescita del lavoro dipendente visto che gli occupati con meno di 35 anni sono aumentati del 5,1%.

Nuovi spazi e strutture moderne

I profondi mutamenti nella funzione produttiva hanno progressivamente fatto perdere alla cascina il suo ruolo di nucleo socio-economico organizzato e finalizzato alle attività agricole e all'allevamento, spesso a ciclo chiuso.
La cascina capitalistica monoaziendale che aveva caratterizzato fino agli anni Cinquanta il paesaggio agrario, quasi un piccolo paese con edifici in grado di rispondere alla consistente presenza abitativa e alla pluralità di mansioni svolte, lascia spazio a strutture di più moderna concezione. Appaiono nuovi edifici a fianco dei preesistenti, al di fuori della corte chiusa, a garantire spazi e funzionalità alle mutate esigenze produttive. Le vecchie strutture delle cascine originarie, tuttora presenti a fianco dei moderni impianti zootecnici, cambiano destinazione per diventare ricovero di macchinari e attrezzi e luogo di stoccaggio dei foraggi.

Enormi sale di mungitura, con tecnologie all'avanguardia , sale di allevamento , sale parto, allattatrici automatiche, caratterizzano le moderne strutture in grado di accogliere 2000 capi di bestiame; dotazioni zootecniche che le antiche corti non avrebbero mai potuto ospitare.


Anche l'informatica è prepotentemente entrata nelle moderne stalle. Oggi è possibile controllare e gestire le operazioni di peso, mungitura, controllo di filiera e sanitario direttamente dal proprio ufficio; lontani i tempi in cui il bergamino controllava il bestiame attraverso un foro dalla propria abitazione!


Il concetto di allevamento intensivo attualmente richiesto dal mercato e attuato dalle moderne aziende risulta palesemente lontano dal tipo di allevamento praticato fino a qualche decennio fa e di conseguenza anche i fondi agricoli annessi a queste nuove aziende hanno dovuto subire trasformazioni ed adeguamenti per rispondere alle richieste di produzione di foraggio destinato al bestiame. Lo stato di conservazione delle cascine è ovviamente strettamente correlato con il loro utilizzo.


Dato lo scenario mondiale, dove la produzione di cibo si configura come la sfida dei prossimi decenni è auspicabile che accanto alle grandi aziende cerealicole e zootecniche articolate in numerosi edifici, stalle, capannoni, granai, impianti per la produzione di energia , si torni ad attribuire importanza alle vecchie cascine, come importanti unità di produzione di alimenti, reddito e occupazione e come valore culturale e storico del nostro territorio.