Le antiche corti
… “Monotona campagna ...siamo al centro della grande pianura … La realtà è una sola: terra piana e feconda tutta coltivabile, senza divagazioni di frutteti o vigneti, solo per dare pane e polenta e carne di bue e porco …. le cascine … quali piccoli villaggi al centro delle grandi proprietà. Sono formate da un vasto piazzale, dov'è l'aia, attorno a rettangolo sono le stalle, le abitazioni dei contadini, il palazzo padronale e l'agenzia, i granai, i fienili e tutte le altre case, dove stanno gli artigiani necessari a collaborare nei lavori agricoli ...”
(tratto da uno scritto di Giovanni Comisso)
Sebbene si conosca poco della sua origine e della sua evoluzione nei secoli, la cascina ha avuto una grande importanza storica nella cultura del nostro territorio perché, nella civiltà agricola, è stata strumento di organizzazione della vita della società contadina.
Con la sua struttura edilizia a quadrilatero, la casa padronale su di un lato, le abitazioni dei contadini, i fienili, le stalle ed i granai a perimetro, ed al centro l'aia, le porte di accesso che si sprangavano di notte per evitare oltre che sgradite visite dall'esterno anche il peregrinare per osterie da parte dei lavoratori che vi abitavano, la cascina rappresentava un vero e proprio nucleo sociale organizzato, basato sulla "mescolanza dei ceti e delle attività lavorative".
La cascina fin dall'origine è ben delimitata, posta generalmente nel perimetro della tenuta agricola, recintata da mura, portici, siepi e staccionate; uno spazio chiuso alla sera mezz'ora dopo il tramonto e riaperto al mattino al sorgere del sole. Circondata da campi coltivati e collegati tra loro da stradine e rogge, la cascina era un'oasi di tranquillità. Tutto era finalizzato alla coltivazione dei prodotti agricoli e all'allevamento del bestiame, beni fondamentali alla vita dell'uomo, che richiedevano un lavoro ininterrotto.
Lo spazio e l'ambiente
Un carattere comune alla maggior parte degli insediamenti rurali del territorio cremonese e che ne caratterizza il paesaggio agrario da almeno due secoli, è la “cascina a corte chiusa”: una struttura solitamente di grandi dimensioni, a volte davvero imponenti, composta da una serie di edifici, con diverse funzioni, distribuiti attorno alla corte centrale a chiuderne il perimetro, alla quale si accedeva tramite portone che assicurava protezione contro i furti, fino alla metà dell'Ottocento assai diffusi in campagna.
Le cascine, lontane dai centri abitati e tra di loro, sono un complesso edilizio realizzato con regole costruttive frutto di esperienze plurisecolari che indicavano la migliore disposizione delle case, delle stalle e dei porticati sia rispetto ai punti cardinali che rispetto ai venti dominanti.
Disposizioni che si fondevano con le necessità operative delle attività che si svolgevano all’interno della cascina, facendo dell’organismo cascina un impareggiabile complesso edilizio plurifunzionale, razionale ed integrato, gerarchicamente strutturato, caratterizzandosi come una compiuta ed organica espressione, di un preciso modello economico.
La disposizione e il tipo degli edifici presenti rispecchia l'importanza dell'allevamento bovino. La stalla delle vacche da latte, è a nord, per la necessità di abbondante aerazione e temperature non troppo elevate per la produzione del latte. Le stalle dei cavalli sono a est o a ovest. Frequenti i barchi (portici adibiti a stalla estiva), immancabili i tre locali necessari alla lavorazione del latte, quello adibito alla conservazione, quello con fornello e caldaia per la trasformazione del latte in formaggio e quello per la conservazione e stagionatura del formaggio. Accanto, vi trovavano posto le anguste porcilaie, consumatrici degli scarti della lavorazione del latte, ed i pollai.
Gli edifici padronali, cioè l'abitazione del padrone o più spesso del fittabile o del fattore, erano sempre posti di fronte o di lato all'entrata dell'azienda, il che facilitava la supervisione sulle attività e sulla vita della comunità. Addossate all'abitazione del fittavolo c'erano cantina, locale per il torchio delle uve, lavanderia, forno per il pane.
Le abitazioni dei contadini, risultavano più piccole di quelle del fittavolo, allineate a schiera lungo un lato della corte, sviluppate su due piani, con un locale dotato di camino a pianterreno, luogo della vita familiare, e una camera da letto al primo piano. Al piano terra la cucina aveva per lo più pavimento in terra battuta, una porta a due battenti chiusa da un catenaccio, di giorno difesa dai polli da un cancelletto di legno.
La camera da letto, un'unica stanza indipendentemente dal numero dei componenti della famiglia, era in tutto simile alla cucina, soltanto priva di camino. La camera da letto non serviva necessariamente per dormirci: poteva trasformarsi all'occorrenza in bigattèra, in questo caso il contadino cedeva il campo ai bachi da seta e dormiva nel fienile.
Un altro gruppo di edifici era l'arsenàl, composto da locali per il fabbro e il falegname ricavati in un porticato. Indispensabile, infine, la giasèra, formata da un buco con diametro di 7-8 metri, profondo 4-5, con una sorta di grande coperchio a cupola in paglia, dove era predisposta l'entrata. Dal bordo della buca partivano i gradini con un'asse per far scivolare il ghiaccio sul fondo dove si manteneva fino ad agosto. Il ghiaccio era ricavato allagando un campo in pieno inverno e tagliando la crosta ghiacciata in grossi cubi.
All'esterno dello spazio circoscritto della corte si trovavano una possibile corte secondaria, la concimaia, e poi i prati, i campi coltivati, i filari di gelsi posti sul bordo di canali e fossati che servivano all'allevamento dei bachi e spezzavano il vento, preservando i raccolti.
La cascina era un villaggio, un paese popolato dalle famiglie dei contadini, normalmente 10-15 anche se spesso raggiungevano le 20 unità, e degli artigiani, governato dal proprietario o da un suo incaricato, altrimenti dall’affittuario; ambedue esercitavano con severità, talvolta con estrema durezza, un’autorità sovrana.
I salariati fissi, per obbligo contrattuale, dovevano vivere nella cascina. Ai primi di novembre il contratto di lavoro era annualmente rinnovato, per alcuni rescisso. Il giorno 11 novembre, nella ricorrenza di San Martino, sulle strade infangate o polverose si alternavano i carri che partivano ad altri che arrivavano nella cascina, trasportando le povere cose delle antiche e delle nuove famiglie che in breve tempo trovavano posto nel minuto alloggio.
Due o tre volte la settimana arrivavano in cascina gli ambulanti con le loro botteghe. Chi ritirava il grano per consegnare poi la farina, i calderai, gli spazzacamini, chi vendeva filo, bottoni od aghi, gli arrotini con il carretto ad una sola ruota per arrotare coltelli, e altri ancora.
Durante le sere d’inverno, per alcuni anche di giorno, era la stalla a riscaldare vecchi, donne e bambini. che apprendevano dai racconti degli anziani, le donne ricamavano, gli uomini giocavano a carte e ore di lavoro si basavano sulle stagioni: d’estate si andava al mattino presto con il fresco e quando il sole iniziava a picchiare si rientrava nella cascina, mentre d’inverno si usciva quando faceva chiaro e di sera si riunivano nelle stalle scaldati dal respiro delle mucche, le donne ricamavano le lenzuola, gli uomini giocavano a carte e i bambini dormivano nel fienaio.
Anche l'aia era un importante luogo di aggregazione; sull'aia ci si trovava ancora insieme, uomini, donne e ragazzi, anche fino a notte fonda, per la sgranatura dei legumi e per la spannocchiatura del granoturco, che avveniva a fine settembre. Sull'aia inoltre si svolgevano le feste: ci si sposava, si festeggiavano le sagre, si ballava. L'aia è rimasta un luogo mitico; nell'immaginario collettivo dei nostri paesi viene spesso citata come un'isola felice.
La terra e le attività
La cascina, che è stata nella storia dell'agricoltura italiana l'espressione di un complesso fenomeno eco-socio economico che non ha uguali, si è strutturata nel tempo in base all'evoluzione delle attività agricole ivi svolte. In nessuna parte del mondo è venuto a crearsi un sistema produttivo così autonomo e chiuso e proporzionato alla superficie aziendale e all'allevamento, sistema che prevedeva tra l'altro salari in natura, produzione della quantità di cereali necessari per il mercato e foraggi per gli animali.
Un sistema produttivo basato su un ordinamento cerealicolo- zootecnico che per anni ha dato forza ed energia ad una rotazione di grandi colture, prato, mais, frumento, erbai, che raggiunge risultati per quel tempo eccezionali: 60 quintali/ha dei tre generi latte,frumento, granoturco.
http://expo.einaudicremona.it/index.php/economia-territorio/le-antiche-corti#sigFreeId6e4d28d1dd
Solitamente metà superficie aziendale era coltivata a prato ed erbai e l'altra divisa tra frumento e granoturco; intorno un contorno alberato, sulle rive di ogni fosso, per la produzione delle necessità di uso domestico e dell'azienda. Altra caratteristica del paesaggio agrario di quei tempi la presenza del gelso e della connessa attività di allevamento dei bigatti. Un'attività in rapido sviluppo che nel corso dell'ottocento porterà il cremonese ad essere al quarto posto in Italia per la produzione di bozzoli, con circa un decimo della produzione nazionale.
Il tempo all'interno della cascina era scandito dalle attività.
Uno dei lavori più importanti era costituito dalla gestione della stalla. Si trattava di un lavoro che copriva tutto l’arco dell’anno e di grande responsabilità perché da esso dipendeva buona parte del reddito della famiglia.
Il primo lavoro mattutino era quello della pulizia della stalla poi cominciava la mungitura a mano ed infine il trasporto del latte al caseificio, portato a spalla con due secchi o bidoni appesi alle estremità. Nel periodo estivo le mucche venivano alimentate con l’erba medica falciata giorno per giorno. Di buon mattino gli uomini, uno o due, andavano nei campi e, falce alla mano, tagliavano l’erba necessaria, che poi provvedevano a raccogliere, caricare sul carro e portare a casa. D’estate, quando l’erba cominciava a scarseggiare si ricorreva alle foglie degli olmi.
La primavera era la stagione della fienagione. Si tagliava il fieno con la falce, lo si distendeva sui campi e lo si rigirava varie volte per farlo asciugare bene. Quando il fieno era secco lo si caricava sui carri e lo si portava nel fienile. Durante il periodo invernale il fieno veniva calato nella stalla sottostante attraverso la tromba, un’apertura che metteva in comunicazione il fienile con la stalla sottostante e poi distribuito nelle greppie delle mangiatoie. L’alimentazione delle mucche veniva integrata anche con farine e biade.
Un altro prodotto di vitale importanza per la vita della famiglia contadina era il grano. Si cominciava verso la metà di settembre con la concimazione dei campi. Per giorni i contadini, a piedi nudi si piazzavano sulla letamaia e con le forche sollevavano il letame, lo mettevano sul carro, lo trasportavano sul campo e poi lo spargevano sul terreno.
Verso la fine di settembre cominciava l’aratura con un aratro trainato da una o due paia di mucche o dai buoi; dove non arrivava l'aratro si vangava a mano. Dopo l’aratura, quando la terra si era un po’ dissodata, cominciava la zappatura. Tutti i membri della famiglia in età da lavoro, dai dieci anni in su, si disponevano in fila, parallelamente alla carreggiata e cominciavano a zappare. Infine con l’erpice, trainato da un animale, si passava allo sminuzzamento ed al livellamento del terreno per predisporlo alla semina, che doveva avvenire necessariamente prima delle prime piogge autunnali. La semina un tempo veniva fatta a mano, poi comparvero le prime macchine e si passò alla semina meccanica con l’ausilio degli animali.
La raccolta del grano veniva fatta verso la fine di giugno manualmente con un falcetto. Il grano falciato veniva posato in terra con cura a manipoli e poi ammucchiato in piccoli covoni che venivano legati e portati nell’aia in attesa della trebbiatura. Il grano veniva raccolto in sacchi da un quintale, sia per la misura del raccolto che per pagare la trebbiatura e per la divisione col proprietario del fondo.
L’inverno era il periodo più tranquillo. Rimanevano i lavori nella stalla, con i parti delle mucche e la cura dei vitelli, la sistemazione degli attrezzi vecchi e la costruzione di quelli nuovi.
La cascina, l'uomo, la terra
Non sempre la cascina era gestita dal proprietario che, frequentemente, dava in affitto la propria azienda.
Il lavoro nella cascina era la risultante dell'azione di tanti soggetti all'interno di un sistema di regole condiviso. Responsabili della conduzione delle terre e dell'organizzazione sociale delle cascine, vere e proprie cellule comunitarie con deboli legami verso il mondo esterno, erano i “Fittabili” o “Fittavoli”. Forniti di ingenti capitali d'esercizio in attrezzi, denaro contante, semenze e bestiame erano il fulcro intorno a cui ruotava la vita della cascina. Vivendo in cascina, coordinavano il lavoro dei salariati fissi e dei giornalieri, interloquivano con bergamini e casari, stipendiavano i campari, da cui dipendeva la distribuzione regolare delle irrigazioni. Erano sempre i Fittabili che commercializzavano i prodotti e decidevano cosa produrre e come lavorare la terra. Pur dovendo rispettare i limiti fissati dai contratti di affitto, in genere della durata di nove anni per non scoraggiare l'investimento in migliorie, si assumevano, come veri e propri imprenditori, utili e rischi della conduzione aziendale.
Altra importante figura a gestire l’ordinaria amministrazione delle attività delle cascine, era il Fattore, che rispondeva solo ed unicamente al padrone o al Fittabile e coi quali aveva un rapporto di fiducia. I due si tenevano in contatto spesso. Il fattore, che riceveva il doppio del compenso rispetto ai suoi sottoposti, organizzava il lavoro e controllava l'esecuzione dei lavori su ordine del Fittabile o del padrone.
La maggior parte dei contadini era salariato fisso o salariato avventizio. Pochi erano coloro sotto contratto di mezzadria. Tra i salariati stagionali vi erano ad esempio i mietitori.
Il lavoro nelle cascine era rigorosamente suddiviso tra i vari contadini, creando delle vere e proprie categorie di specializzati.
Le figure principali in cui erano suddivisi i contadini che abitavano in cascina erano le seguenti:
Campari: si occupavano della manutenzione delle rogge e dei canali d'irrigazione.
Bergamini: si occupavano del bestiame, in primo luogo della mungitura.
Casari: preparavano il formaggio.
Contadini: si occupavano di vari lavori, ma in primo luogo del taglio del fieno per il bestiame.
Bifolchi o Cavallanti: avevano lo stesso ruolo, ossia dell'aratura, erpicatura e dissodamento dei campi tramite l'ausilio d'animali da lavoro. Si preoccupavano anche della cura degli animali da lavoro a loro affidati.
Oltre a queste categorie c'erano garzoni di vario genere: famigli, manzolai, stallieri, mietitori ecc. Nelle cascine più grandi c'erano anche artigiani di vario genere, quali il maniscalco, il sellaio, il falegname, il muratore, il fabbro.
I salariati fissi preposti ai lavori continui (irrigazione, accudimento di cavalli, buoi, mucche e vitelli ecc.) abitavano nella corte. Vi risiedevano anche gli "obbligati", avventizi a stagione che prestavano opera per circa 200 giorni l'anno. Mentre gli avventizi veri e propri, occupati per uno o due mesi e provenienti da territori esterni, soprattutto donne per lavori stagionali, trovavano alloggio nei borghi vicini.